Il rapporto fra luce e depressione in una nuova via cerebrale

 

 

GIOVANNA REZZONI & GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 06 giugno 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Si studiano ancora poco gli effetti della luce solare sul nostro organismo in generale e sulle reti cerebrali alla base della nostra dimensione psichica. Il nostro profondo interesse per questo argomento è noto, perché fin dalla fondazione della nostra società scientifica, presentando e discutendo i più recenti risultati sperimentali, abbiamo cercato di sensibilizzare colleghi responsabili di progetti di studio e potenziali finanziatori della ricerca sull’utilità di indagare in questo campo. La luce solare, oltre ad aver generato la visione nell’evoluzione animale, svolge un ruolo essenziale per la biologia degli organismi, intervenendo nella regolazione di vari processi fisiologici, inclusi quelli alla base del tono dell’umore nella nostra specie.

In proposito, così scriveva Ludovica R. Poggi già nel 2007: “L’accostamento del tempo atmosferico al tono dell’umore non è il puro frutto dell’inventiva letteraria o della suggestione personale, ma ha un fondamento nella fisiologia cerebrale. La celebre poesia di Baudelaire intitolata “Spleen”, che accostava uno stato mentale prossimo alla depressione ad un cielo plumbeo, aveva proposto il termine inglese all’attenzione della psichiatria fenomenologica, che lo adottò conferendogli quasi dignità nosografica, come testimoniano le pagine dedicate a questo stato di coscienza dal Trattato di Psicopatologia di Minkowski.

Le brevi e piovose giornate d’inverno hanno un effetto negativo su molte persone, generando in loro tristezza, talora irritazione, talaltra passività con perdita di interesse ed iniziativa. È comune esperienza che una tale condizione difficilmente si sviluppa in chi svolge una vita attiva ed intensa, ma è meno noto che all’estremo opposto una sequenza di giorni oscuri precipiti una vera e propria forma di depressione clinicamente rilevante, come si verifica nel caso dei pazienti affetti da un disturbo depressivo periodico, detto Disturbo affettivo stagionale (solo di recente accettato dall’American Psychiatric Association come entità nosografica distinta, con il nome di Seasonal affective disorder o SAD).

Questa curiosa sindrome, che risponde bene al trattamento mediante illuminazione (bright-light therapy o BLT), se non trattata, scompare spontaneamente al sopraggiungere della buona stagione o qualora la persona affetta, durante l’inverno, si trasferisca in un paese tropicale o dell’opposto emisfero, dove troverà un’illuminazione solare protratta”[1].

Anche se a lungo la psichiatria ha trascurato il rapporto fra esposizione alla luce solare e psicopatologia, negli anni recenti, anche grazie alle nuove acquisizioni della ricerca di base, vi è stato un ritorno di interesse[2]. La maggior parte degli studi che ha indagato il rapporto fra esposizione alla luce solare e disturbi di tipo depressivo – incluso il citato SAD – ha focalizzato l’attenzione su modificazioni molecolari relative al sistema di segnalazione della 5-HT, sulla base della vecchia “teoria serotoninergica della depressione”, ossia un costrutto volto principalmente a giustificare l’apparente efficacia dei farmaci inibitori della ricaptazione di serotonina. Come nel caso dello studio di Willeit e colleghi da noi recensito nel citato articolo di Ludovica Poggi, noi abbiamo preso le distanze da questa prospettiva, supponendo l’esistenza di circuiti specifici e intere reti neuroniche per la mediazione degli effetti prodotti da un ente fisico al quale i sistemi biologici sono esposti fin dall’origine della vita stessa.

Un filone di ricerca è stato avviato di recente sulla base di questa osservazione: come l’esposizione diurna alla luce solare ha efficacia nel prevenire la depressione e la luce si impiega di giorno nella terapia, un’eccessiva esposizione alla luce di notte può causare sintomi depressivi; una differenza radicale fra giorno e notte nella risposta alla luce che merita di essere indagata.

Kai An e colleghi coordinati da Tian Xue hanno indagato il perché dell’effetto opposto della luce sullo stato psichico fra giorno e notte, cercando nel cervello dei mammiferi la differenza di assetto funzionale responsabile di questo fenomeno. È emersa l’esistenza di una specifica via nervosa subcorticale che prende origine dalla retina ed è strettamente regolata da un ritmo circadiano.

(An K., et al., A circadian rhythm-gated subcortical pathway for nighttime-light-induced depressive-like behaviors in mice. Nature Neuroscience Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-020-0640-8, 2020)

 La provenienza degli autori è la seguente: Center for Excellence in Brain Science and Intelligence Technology, Chinese Academy of Sciences, Shanghai (Cina); Institute of Stem Cell and Regeneration, Chinese Academy of Sciences, Beijing (Cina); Hefei National Laboratory for Physical Sciences at the Microscale, Neurodegenerative Disorder Research Center, CAS Key Laboratory of Brain Function and Disease, School of Life Sciences and Medicine, University of Science and Technology of China, Hefei (Cina).

Fu la ricerca delle basi neurali della frequenza ritmica con la quale insorge il sonno al termine della giornata che consentì l’identificazione dell’orologio biologico principale dell’organismo dei mammiferi nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN, da suprachiasmatic nucleus), un aggregato di neuroni così definito per la sua posizione anatomica subito al di sopra dell’incrociamento dei nervi ottici, detto chiasma ottico. La frequenza di accensione-scarica dei circa 20.000 neuroni contenuti in questo nucleo segue un ritmo endogeno circadiano, che impartisce la scansione di circa 24 h (pacemaker) all’alternarsi sonno-veglia e a numerose altre funzioni biologiche, come picchi ormonali e stati fisiologici e comportamentali. La cronobiologia, branca molto seguita in passato, ha indagato una gamma di processi che va dagli orologi molecolari presenti in ogni cellula del corpo ai timer che determinano il letargo degli animali e le ricorrenze di disturbi stagionali, ma soprattutto ha evidenziato la conservazione nel corso dell’evoluzione dei sistemi di sincronizzazione alla luce solare, identici dal moscerino della frutta all’uomo.

La periodicità intrinsecamente espressa dalle memorie della specie necessita di un continuo adattamento alla realtà ambientale e, anche se il ritmo principale sonno-veglia in assenza della luce naturale si mantiene allungandosi solo di poco, come hanno dimostrato gli esperimenti con volontari nelle grotte, si verificano varie forme di aggiustamento e regolazione temporanea per effetto della luce. È stato scoperto che la luce, agendo sull’orologio biologico, può temporaneamente riprogrammare i ritmi circadiani attraverso la metilazione del DNA[3].

Nello stesso anno in cui è stato identificato l’effetto sulla sintesi e il rilascio di endorfine da parte dell’esposizione protratta alla luce del sole[4], si è definito un meccanismo che consente al cervello di codificare le stagioni dell’anno: la rete che codifica la temporalità stagionale è controllata dallo stesso master clock sito nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN) che regola i ritmi circadiani. In breve: la rete che specifica la temporalità è controllata dalla modulazione dello ione cloro intraneuronico che determina una relazione di fase e una differenza di periodo fra la parte dorsale e la parte ventrale di SCN, con la quale caratterizza l’epoca stagionale dell’anno[5].

Per indagare le basi anatomiche e fisiologiche dell’effetto paradosso della luce sul cervello durante la notte, An e colleghi hanno adoperato il paradigma murino light-at-night (LAN), mediante il quale hanno rilevato che la quantità di luce che viene erogata durante la notte per studiarne gli effetti sulla periodicità biologica era in grado di indurre comportamenti simil-depressivi, senza alterare il ritmo circadiano.

I ricercatori hanno individuato il sistema neuronico mediatore dell’effetto in una via che prende origine dagli assoni delle cellule gangliari della retina esprimenti melanopsina (ipRGC) e si dirige verso le abenule, formando sinapsi con i neuroni del nucleo peri-abenulare dorsale (dpHb); i neuroni riceventi dpHb inviano il loro input attraverso fasci di fibre che terminano sui neuroni del nucleo accumbens (NAc). La fisiologia di questa via nervosa era fortemente caratterizzata da una proprietà manifestata dall’aggregato peri-abenulare: i neuroni dpHb erano strettamente regolati dal ritmo circadiano principale dell’organismo, che si traduceva in una eccitabilità notturna molto più elevata di quella diurna.

L’osservazione sperimentale ha chiaramente mostrato che la via ipRGCdpHbNac conduce preferenzialmente segnali luminosi durante la notte, in tal modo mediando gli effetti che producono i comportamenti depressivi dopo la ripetuta esposizione notturna alla luce.

Questa scoperta, a nostro avviso, traccia un nuovo e interessante percorso sperimentale volto a determinare, in termini sia anatomici che neurochimici, i sistemi neuronici effettori delle alterazioni che generano il comportamento assimilabile alla fenomenologia depressiva, non solo per accrescere la conoscenza della neurofisiologia cerebrale, ma anche per trovare nuove strategie terapeutiche più mirate ed efficaci di quelle attuali.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Giovanni Rossi

BM&L-06 giugno 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 24-11-07 Una base molecolare della depressione stagionale. Si veda anche, per i primi studi sulla base molecolare della periodicità annuale, l’articolo: Note e Notizie 10-06-06 controllo circannuale degli stati del corpo e della mente.

[2] In proposito, si segnala l’articolo Note e Notizie 17-01-15 Esporsi al sole per abbronzarsi produce effetti stupefacenti sul cervello, in cui si presenta e si discute la scoperta, da parte di David Fischer e colleghi, dell’effetto della luce sul sistema edonico del cervello mediante il rilascio di β-endorfina.

[3] Note e Notizie 01-03-14 Come la luce riprogramma i ritmi circadiani metilando il DNA. Si veda questo articolo anche per una precisa descrizione molecolare degli orologi biologici e del loro funzionamento basato su una coppia di anelli ciclici o loop a feedback trascrizionali: il primo forma il nucleo del meccanismo circadiano, mentre il secondo forma un loop modulatorio che stabilizza il ritmo.

[4] Note e Notizie 17-01-15 Esporsi al sole per abbronzarsi produce effetti stupefacenti sul cervello.

[5] Note e Notizie 11-07-15 come il cervello codifica le stagioni dell’anno.